Senso e materia by Patrizia Magli

Senso e materia by Patrizia Magli

autore:Patrizia Magli [Magli, Patrizia]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Marsilio
pubblicato: 2023-10-12T07:58:34+00:00


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A partire da Gutenberg il nero è sinonimo di procedimento grafico, diceva Richard Serra. È il segno della scrittura, marca la superficie chiara della pagina al fine di permetterne la lettura. Secondo questa prospettiva, la storia del nero sarebbe inseparabile dalla storia della scrittura. Pur essendo, di quest’ultima, condizione della sua leggibilità e trasparenza, talvolta, nella storia, il nero è stato utilizzato al fine di opacizzarla. Un esempio sono le cancellature della censura. Secondo questa strategia di cancellazione, il nero è stato usato da alcuni artisti come Henri Michaux o Emilio Isgrò. È un procedimento che non avviene solo con i caratteri tipografici o calligrafici, ma anche con le immagini. Ne è un esempio l’artista austriaco Arnulf Rainer, che nasconde il proprio autoritratto sotto strati di pittura nera. Questo processo di ricoprimento non si riduce a un semplice processo di negazione. È piuttosto un processo di inumazione, di seppellimento. Facendo passare l’immagine originaria da uno stato di visibilità a uno di invisibilità, Rainer la mette per così dire in memoria dentro lo spessore della materia pittorica. Il monocromo, in questo modo, conserva traccia dell’immagine sepolta, ne custodisce un lembo che s’intravede furtivo ai margini della tela o tra un interstizio e l’altro della stesura del nero.

Questo ricorso al nero è presente, secondo altre modalità, in un altro artista viennese, Günter Brus che negli anni sessanta realizzò una serie di autoritratti, se così si possono chiamare. In questo caso, una densa pennellata di nero s’iscrive non sulla tela, ma sulla superficie del viso dell’artista precedentemente spalmata di pittura bianca, tagliandola verticalmente in due come una sorta di split representation. Questa linea poco a poco si ispessisce, si espande fino a ricoprire l’intero volto dell’artista che, in questo modo, diventa esso stesso una monocromia vivente.

Ogni monocromia, tuttavia, è vivente. Se ci avviciniamo ai monocromi di Rothko, ci accorgiamo che, malgrado il campo colorato omogeneo di queste tele, l’immagine trema, il suo cuore oscuro oscilla. A distanza ravvicinata, la trama delle sue tele è percorsa da un trasalimento fatto di impercettibili movimenti. Molte monocromie cosiddette radicali, infatti, guardandole da vicino, si presentano come una fittissima trama di filamenti dai vari colori, aggrovigliati, dritti o rovesci, un prolifico allevamento di polvere fatto di infiniti corpuscoli che si sovrappongono gli uni agli altri. Si ha l’impressione che l’opera “respiri”, e non solo in senso metaforico. Il nero, infatti, se in un primo tempo ci disorienta, in un secondo mette il mondo in movimento. Se forziamo lo sguardo ad addentrarsi nelle sue tenebre, il buio inizia a diradarsi, la vista comincia ad accusare contrasti. La sua profondità non è né geometrica né prospettica: è lo spessore della materia.



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